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Il caso del prete di Viterbo che vende assoluzioni e confessioni per 50 euro

Il caso del cappellano militare Don Antonio Di Savino di Viterbo.
A cura di Redazione Roma
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Vendeva le assoluzioni nel confessionale in cambio di denaro. Una pratica, quella della compra vendita di beni spirituali, che ha un nome: si chiama simonia, nel Medio Evo era molto diffusa finché la chiesa non ha deciso che era un peccato. I simoniaci sono posti da Dante Alighieri nella Divina Commedia fra i dannati, più esattamente nella terza bolgia dell'ottavo cerchio dell'Inferno.

Il caso di Don Antonio Di Savino, cappellano militare, è stato portato alla luce nella puntata dello scorso 9 aprile su Rete 4 della trasmissione Fuori dal Coro. Il sacerdote di Viterbo infatti si sarebbe fatto pagare per confessioni e "colloqui spirituali" per la modica cifra di 50 euro, dopo che il fedele/cliente aveva preso appuntamento online. Solo che quando va all'appuntamento il prete si trova questa volta di fronte le telecamere. E Don Antonio deve spiegare perché riceve denaro per raccogliere le confessioni nel santuario di Santa Rosa.

Non sarebbe un caso isolato. Sarebbero infatti diversi i preti che offrono servizi a pagamento utilizzando la piattaforma "Pray for me". Sul sito si possono comprare qualsiasi tipo di servizio che un prete può offrire, esorcismi compresi, oltre che confessioni online e colloqui spirituali in web cam.

Quando il giornalista si è rivelato e ha chiesto conto a don Antonio della compravendita, il cappellano, imbarazzato, ha risposto: “Non mi faccio pagare, sono offerte libere”. Ma l’inviato lo ha incalzato, ricordandogli di aver pagato una tariffa esatta.

Ma a chi vanno i soldi? “Penso una parte alla piattaforma e una parte a me. Avrò sbagliato io a gestire questa cosa. Avrò sbagliato a usare lo strumento digitale”, risponde il prete al giornalista c he lo interroga.

Non è mancata la presa posizione ufficiale della Diocesi di Viterbo, di fronte al caso non proprio edificante: “Siamo profondamente amareggiati per quanto accaduto, soprattutto in questo periodo giubilare in cui l'esperienza della riconciliazione è il percorso privilegiato di sostegno alla fede e alla speranza di ogni fedele, e certamente non risponde in alcun modo a ciò che la Chiesa chiede nell'esercizio del ministero sacerdotale”. Una sconfessione completa dell'azione del prete.

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